venerdì 28 dicembre 2018

gli amanti di Valdaro


Valdaro, ubicato alle porte di Mantova, salì prepotentemente alle cronache nel 2007 quando il suo territorio fu oggetto di un ritrovamento eccezionale: due scheletri del neolitico rinvenuti abbracciati. Le immagini della scoperta fecero, rapidamente, il giro del mondo. A questi scheletri fu dato il nome di Amanti di Valdaro. L'unicità della scoperta scomparve pochi mesi dopo poiché, in Turchia, furono rinvenuti scheletri posizionati in una situazione similare.
Ricostruiamo questa vicenda.
Nel febbraio del 2007 la Soprintendenza per i beni archeologi della Lombardia comunicava il ritrovamento di una sepoltura neolitica nell'ambito degli scavi di una villa romana in zona Valdaro. L'eccezionalità del rinvenimento consisteva nel fatto che due scheletri furono ritrovati sepolti di fianco, faccia a faccia, incrociati in un abbraccio che coinvolgeva anche gli arti inferiori. Si tratta di uno straordinario esempio di sepoltura doppia (o bisoma) in Italia Settentrionale. L'archeologa Menotti, che guidò gli scavi, riferì che il rinvenimento consisteva in due scheletri, un uomo ed una donna, non più vecchi di 20 anni alla morte e di un'altezza di circa 1 metro e 57 centimetri. Lo scheletro maschile fu ritrovato con una punta di freccia di selce vicino al collo. La femmina aveva una lama di selce lungo la coscia e due coltelli, sempre di selce, sotto il bacino. L'esame osteologico non rivelò alcuna prova di morte violenta; nessun trauma e nessun microtrauma. La spiegazione più probabile risiede nel fatto che gli strumenti di selce siano stati sepolti insieme alle persone come oggetti tombali.


Le fotografie dei due scheletri provocarono un'ondata di grande emozione popolare che permise una grande celebrità al ritrovamento. Le fotografie furono pubblicate nei giorni precedenti la festa di San Valentino e divennero simbolo dell'amore eterno di due amanti.
Però le cose potrebbero essere andate diversamente.
Potrebbe essere un sacrificio umano?
In questa visione, l'uomo sarebbe morto per primo e la donna sarebbe stata uccisa in seguito per permettergli di raggiungere l'uomo a cui era “appartenuta” in vita.
Le congetture si sprecarono come i rinvenimenti successivi a quello alla porte di Mantova. Pochi mesi dopo il ritrovamento degli Amanti di Valdaro, una spedizione archeologica nella provincia turca di Diyarbakir riportò alla luce i resti di due scheletri sepolti insieme, in una sorta di abbraccio. L'uomo, di circa trent'anni, e la donna, di circa vent'anni, furono ritrovati insieme a 22 tombe del periodo del Neolitico risalenti a circa 8000 anni fa.
Con il trascorrere degli anni altri ritrovamenti similari avvennero in tutto il mondo.


Nel 2009 fecero il giro del mondo le fotografie di due scheletri di età tardo romana sepolti mano nella mano. L'uomo e la donna furono rinvenuti durante gli scavi effettuati sotto il controllo della Soprintendenza Archeologica dell'Emilia-Romagna in una via di Modena. L'uomo aveva il palmo rivolto verso l'alto, quasi a reggere quello femminile rivolto verso il basso. Praticamente i due scheletri si tenevamo per mano. La particolarità risiede nel fatto che l'uomo tiene la mano destra della donna con la sinistra, contrariamente al gesto ufficiale della dextrarum iunctio, dove avveniva l'unione delle mani destre di sposo e sposa come rievocazione del matrimonio. Quindi l'unione delle mani di queste persone nella sepoltura avvenne come gesto quotidiano e non come rievocazione di un rito nuziale.


Un altro rinvenimento spettacolare avvenne nel 2012 nel villaggio siberiano di Staryi Tartas. Gli archeologi rinvennero 600 tombe risalenti all'età del bronzo. Alcune di queste rivelarono sepolture di coppia o di un'intera famiglia. Gli esami archeologici evidenziarono che questi individui appartenevano alla cultura di Andronovo, che si sviluppò tra il 2000 ed il 1200 a.C. Le ipotesi degli archeologi rivelavano che tali disposizioni sepolcrali erano tracce di antichi sacrifici rituali. 
Una seconda ipotesi si potrebbe avvicinare a quella proposta per gli Amanti di Valdaro, ovvero che morto l'uomo tutta la famiglia sia stata uccisa affinché potessero “viaggiare” per l'eternità insieme. 


Agli inizi del 2015 un eccezionale scavo archeologico nella zona del Peloponneso permise di rinvenire un uomo ed una donna sepolti abbracciati. Nel comunicato dei responsabili dello scavo archeologico si leggeva: “le sepolture doppie e incrociate sono molto rare e quella di Diros è una delle più antiche rinvenute finora al mondo. Nei pressi dello scavo sono stati ritrovati anche le tombe di un bambino e di un feto, oltre ad un ossario di circa 4 metri. Siamo abbastanza certi che questa zona sia servita come luogo di sepoltura per migliaia di anni”.


Ma per ritrovare la scoperta archeologica più spettacolare tra le sepolture doppie o collettive bisogna risalire la linea del tempo sino al 1972, quando un team dell'Università della Pennsylvania rinvenne nel sito archeologico di Hasanlu, in Iran, due scheletri umani che si abbracciavano sino quasi a baciarsi. Si trattava di un uomo ed una donna tra i 20 ed i 30 anni che godevano di buona salute prima di morire. La coppia di scheletri fu ritrovata in una struttura simile ad un cestino, senza altri oggetti tranne una lastra di pietra sotto la testa. Morirono insieme nel IX secolo a.C., durante la distruzione della cittadella di Teppe Hasanlu.
Le scoperte archeologiche dimostrano quanto ancora non conosciamo della vita, e della morte, di chi ci ha preceduto sui sentieri della nostra esistenza.


Fabio Casalini

fonte: https://viaggiatoricheignorano.blogspot.com/

venerdì 21 dicembre 2018

se i bambini passano molto tempo davanti allo schermo

si modifica la struttura del cervello

Un pioneristico studio da 300 milioni di $ ha scoperto che nei bambini che passano almeno 7 ore al giorno davanti a smartphone o tablet si modifica la struttura del cervello.



La nuova ricerca è stata finanziata dall'Istituto nazionale americano della sanità, un'agenzia governativa, e ha illustrato i risultati della tecnologia sui bambini.

I ricercatori sono giunti alle loro conclusioni analizzando il cervello di 4.500 bambini e al momento ne stanno analizzando altri 11.000 di bambini di 9 e 10 anni su un periodo di 10 anni. I primi dati ottenuti hanno evidenziato che passare troppo tempo davanti allo schermo può avere effetti negativi sui bambini.

"Gli scienziati considerano caratteristiche cerebrali legate ad azioni impulsive, l'impatto di comportamenti salutari (come il sonno o l'attività fisica) sullo sviluppo cerebrale e cognitivo o ancora tratti legati all'utilizzo dei dispositivi digitali (come l'esposizione prolungata a uno schermo). Ad esempio, un recente studio nell'ambito del progetto ABCD ha evidenziato legami tra diverse quantità e tipologie di tempo passato davanti allo schermo (es. videogiochi vs. social media) e diversi tratti psicologici, caratteristiche cerebrali strutturali e funzioni cognitive", si legge nell'abstract dello studio dell'Istituto nazionale statunitense di sanità.

"Gli scienziati potranno monitorare i soggetti nel tempo per capire in che modo usare i dispositivi possa influenzare lo sviluppo personale, grazie all'opportunità unica fornita dallo studio ABCD".



© FLICKR.COM / A HEALTH BLOG
Scoperto il meccanismo irreversibile dell'invecchiamento del cervello il particolare, secondo gli scienziati un'esposizione quotidiana allo schermo avrebbe evidenziato nei bambini un assottigliamento prematuro della corteccia cerebrale, lo strato più esterno del cervello che processa le informazioni. Chi passa meno tempo davanti allo schermo ha mostrato differenze rispetto agli altri, ma Gaya Dowling, la direttrice dello studio dell'Istituto, ha consigliato di non formulare conclusioni affrettate.

"Non sappiamo se sia davvero causato dall'esposizione a uno schermo. Non sappiamo ancora se sia una cattiva cosa", ha afferma Dowling. "Non lo sapremo finché non seguiremo i soggetti nel tempo per capire se i risultati osservati siano collegabili alle differenze riscontrate o siano piuttosto dei casi isolati".



© FOTO : AMBASCIATA ITALIANA A MOSCA
Made in Italy solidale per i bambini russi Gli scienziati, dunque, rimangono vaghi e non confermano alcun collegamento diretto fra l'assottigliamento della corteccia cerebrale e l'esposizione allo schermo.

"Saremo in grado di rispondere ad alcune domande solo fra qualche anno", ha affermato Dowling. "Ma alcune di queste sono molto interessanti. Dobbiamo solo aspettare".

Ha anche aggiunto: "I colloqui e i dati ottenuti dall'Istituto hanno già evidenziato qualcosa d'altro: i bambini che passano più di due ore al giorno davanti allo schermo hanno prestazioni inferiori nei test di ragionamento e linguistici".

Dowling spera che, una volta terminato lo studio, i ricercatori saranno in grado di determinare se l'esposizione a uno schermo crei o meno dipendenza.

"Potremo capire non solo quanto tempo passano davanti allo schermo e come pensano che questo li condizioni, ma anche quali possono essere gli effetti su di loro. E questo ci porterà a rispondere alla domanda sulla dipendenza", ha affermato.



SXC
Inventore internet è deluso dalla sua invenzione Le risposte, dunque, arriveranno solamente fra qualche anno.

Il dottor Dimitri Christakis dell'Ospedale infantile di Seattle è stato l'autore principale delle recenti linee guida dell'Accademia americana di pediatria sull'esposizione agli schermi. In particolare, ha affermato che i genitori dovrebbero "evitare di utilizzare strumenti digitali, se non le video conversazioni, in bambini più piccoli di 24 mesi".

"I bambini che giocano con gli iPads non trasferiscono ciò che imparano sul dispositivo digitale nel mondo reale: in pratica, se fornite a vostro figlio un'applicazione con cui può giocare con Lego virtuali e poi gli mettete davanti dei blocchetti reali, dovrà reimparare tutto daccapo", si afferma nelle linee guida.

Christakis, infatti, afferma che "non sono abilità trasferibili. Non è possibile trasferire competenze del mondo bidimensionale in quello tridimensionale".

Fonte

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mercoledì 19 dicembre 2018

Pellegrina Forgione, la sorella scostumata di Padre Pio


Pellegrina Forgione nacque a Pietralcina, un piccolo comune dell’attuale provincia di Benevento nel 1892. 
Suo padre Grazio Maria, detto Orazio o Razio e sua madre Maria Giuseppa di Nuzio, detta Peppa, erano di umili origini. 
La casa che le diede i natali non era certo una reggia. Due stanze sovraffollate, che negli anni furono allietate dalla nascita di numerosi bambini, in tutto 8: Michele, il primogenito, il primo Francesco, che morì pochi giorno dopo la nascita, Amalia, che sopravvisse solo due anni, Francesco, al secolo Padre Pio, Felicita, la sorella prediletta del santo, Pellegrina, Graziella, che diventò suora nel 1917, e Mario, che sopravvisse solo un anno. 


Pellegrina a differenza degli altri fratelli si dimostrò fin da piccola molto indipendente, poco incline all’obbedienza. Con loro non aveva un buon rapporto, non era legata da complicità come lo erano, ad esempio, Francesco e Felicita. 
Quando i fratelli Forgione erano piccoli, papà Grazio e Michele, il più grande, partirono da Pietralcina per andare in America a cercare lavoro e fortuna, lasciando mamma Maria Giuseppa ad occuparsi di tutti, compresi Pellegrina, sempre più ribelle e Francesco, che cominciava a dare segni di particolarità. Gli anni passarono fra ristrettezze economiche non indifferenti. 


Nel 1903 Francesco diventò novizio cappuccino, prendendo il nome di fra Pio. La sua travagliata giovinezza la passò in convento, mentre nel 1910 la sua amata sorella Felicità convolò a nozze. 
Pellegrina viveva ancora la mamma e la sorella più piccola, quando la sua vita cambiò improvvisamente. Iniziò a frequentare saltuariamente un giovane del paese, Antonio Masone che faceva il sarto. La ragazza voleva vivere la sua storia d’amore liberamente. Nel 1911 scoprì di essere incinta. Per il paese fu uno scandalo: i due giovani non erano sposati e lei fu additata automaticamente come una “poco di buono”. 
Pellegrina lasciò la casa materna, suscitando ulteriore disapprovazione nella famiglia, con cui interruppe ogni rapporto, e decise di andare a vivere con il suo fidanzato in una casa di Vico dell’Orto, in cui il giovane svolgeva la sua attività. 
Il piccolo nacque nel 1912 e gli venne dato il nome di Angelomichele, lo stesso del nonno materno. Finalmente, dopo la sua nascita, Antonio lo riconobbe e decise di regolarizzare la posizione con la madre di suo figlio. Si sposarono il 26 luglio 1913, un anno dopo il parto. Dalla loro unione nacquero altri due bambini. Nel 1916 Angelomichele purtroppo morì, a 4 anni, lasciando nello sconforto la famiglia. L’anno successivo morì anche la piccola Maria Giuseppa, di 3 anni. L’ultimo nato, Alfredo, di cui si hanno dubbi in merito alla paternità, morì nel 1918 a soli 14 mesi, a causa di una brutta epidemia di influenza. 


La situazione a casa Masone divenne ancora più difficile quando Antonio fu costretto, per contrastare le difficoltà economiche crescenti, a emigrare in America. Le difficoltà che la donna fu costretta ad affrontare e i giudizi della gente, mai cambiati nonostante il matrimonio, resero la vita di Pellegrina un cammino in salita. Per Pietralcina e i suoi abitanti, ottusi e bigotti, restava una giovane ribelle, che aveva sfidato la decenza e il buon costume. Per la famiglia era una spina nel fianco, da allontanare. Le sue tracce, ad un certo punto, si perdono nel tempo. Si sa che negli anni ’40 si trasferì, probabilmente, prima a Napoli, poi a Chieti, una delle città che meno risentirono gli effetti devastanti del conflitto Mondiale. Infatti fu dichiarata città aperta il 24 marzo del 1944. 
Di quel periodo si sa molto poco. Si ritrovano le sue tracce all’ospedale di Chieti nel 1944, quando fu ricoverata perché ammalatasi di tisi. 
La sfortunata vita di Pellegrina Forgione si concluderà il 18 febbraio dello stesso anno, a soli 52 anni, nel sanatorio San Camillo de Lellis. Dimenticata da tutti, soprattutto dai familiari, la sua tomba fu ritrovata per caso da una delegazione Fai, guidata da Roberto di Monte, nel cimitero di Sant’Anna. La sua storia di ragazza ribelle ha così potuto essere raccontata, non lasciandola più all’oblio della memoria a cui il pregiudizio della gente e della famiglia l’aveva condannata.

Rosella Reali

fonte: https://viaggiatoricheignorano.blogspot.com/

Bibliografia

https://www.lagazzettadelmezzogiorno.it/news/home/1077539/padre-pio-spunta-la-storia-scandalo-di-pellegrina-una-sorella-ribelle.html 

http://www.ilgiornale.it/news/cronache/pellegrina-sorella-ribelle-padre-pio-1597901.html 


https://www.chietitoday.it/attualita/chieti-tomba-pellegrina-forgione-sorella-santo-padre-pio-pietrelcina.html 

http://www.ilcentro.it/chieti/una-tomba-racconta-la-storia-di-pellegrina-sorella-ribelle-di-padre-pio

ROSELLA REALI
Sono nata nel marzo del 1971 a Domodossola, attualmente provincia del VCO. Mi piace viaggiare, adoro la natura e gli animali. L'Ossola è il solo posto che posso chiamare casa. Mi piace cucinare e leggere gialli. Solo solare, sorrido sempre e guardo il mondo con gli occhi curiosi tipici dei bambini. Adoro i vecchi film anni '50 e la bicicletta è parte di me, non me ne separo mai. Da grande aprirò un agriturismo dove coltiverò l'orto e alleverò animali. 
Chi mi aiuterà? Ovviamente gli altri viaggiatori.
Questa avventura con i viaggiatori ignoranti? Un viaggio che spero non finisca mai...

venerdì 14 dicembre 2018

aree contaminate: in Italia 6 milioni di persone a rischio

Nei terreni e nelle falde dei 1.469 ettari di costa che bagna la città di Crotone è stata riscontrata, nel 2002, la presenza di zinco, piombo, rame, arsenico, cadmio, mercurio, ferro, idrocarburi, benzene, nitrati, frutto perlopiù, di uno smaltimento abusivo, sistematico e incontrollato di montagne di rifiuti industriali. Dopo sedici anni, 9 commissari e 121 milioni di euro stanziati, la bonifica è ancora in alto mare.


Quante sono e dove stanno le aree a rischio sanitario

Il caso di Crotone, diventato emergenza, è solo uno fra migliaia: l’Ispra ne ha contati 12.482. Siti potenzialmente contaminati, distribuiti su tutto il Paese, con un record di 3.733 casi in Lombardia. Mentre i siti in cui l’inquinamento è stato considerato talmente grave da comportare un elevato rischio sanitario, e per questo definiti «di Interesse Nazionale» (Sin), sono 58. L’interesse, a partire dal 1998, era quello di bonificarli. Oggi per la maggior parte resta ancora da capire la portata della contaminazione. Parliamo di aree industriali dismesse, in attività, aree che sono state oggetto in passato di incidenti con rilascio di inquinanti chimici, e aree in cui sono stati ammassati o interrati rifiuti pericolosi.
Alle procedure di bonifica inizialmente doveva pensare lo Stato, dal 2012, 17 siti sono passati in carico alle Regioni. «Pensiamo a un fondo unico ambientale per sostenere le bonifiche», ha dichiarato qualche mese fa il Ministro dell’Ambiente, Sergio Costa. Il suo predecessore, Gian Luca Galletti, aveva già riferito in un intervento al Senato, il 19 gennaio 2017, di circa 2 miliardi di euro stanziati «dal mio Ministero a favore delle Regioni, dei Commissari delegati e delle Province Autonome di Trento e Bolzano». Finora la somma dei finanziamenti totalizza 3.148.685.458 euro. A fronte di questa spesa, «emerge l’estrema lentezza, se non la stasi, delle procedure attinenti alla bonifica dei Sin», scrive, qualche mese fa, la Commissione Parlamentare di Inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti.

Stanziati oltre 3 miliardi per fare cosa?

In Veneto, 781 milioni di euro sono stati usati per bonificare solo il 15% dei terreni e l’11% della falda di Porto Marghera. In Campania, l’area perimetrata nel Sin di Napoli Orientale, su cui insiste la quasi totalità degli impianti di deposito e stoccaggio di gas e prodotti petroliferi presenti sul territorio cittadino, la bonifica ha interessato finora solo il 6% dei terreni e il 3% della falda. Va molto peggio nell’area occidentale, quella dell’ex Ilva, ex Eternit, ex discarica Italsider: 242 ettari di superficie potenzialmente inquinati da metalli, ipa, fenoli, amianto; oltre 10 milioni stanziati dal Ministero dell’Ambiente, bonifiche: zero. L’area di Tito, in Basilicata, ha completato solo il 4% della procedura di bonifica, idem in Sardegna, nonostante i 77 milioni stanziati dal Ministero dell’Ambiente, e i 20 già spesi per le aree industriali inquinate di Sulcis-Iglesiente-Guspinese. «La maggior parte delle risorse», dichiara la Regione, «sono in fase di progettazione, poi a causa della complessità delle opere e dell’aggiornamento della normativa sugli appalti, il grosso degli interventi deve essere ancora cantierato».

Sicilia, Friuli, Piemonte, Lombardia, Toscana: bonifiche zero

In Sicilia nei siti contaminati che vanno da Priolo (Siracusa), a Biancavilla (Catania), fino a Gela (Caltanissetta), sono stati spesi 3 milioni di euro per zero bonifiche. Nulla di fatto anche al Nord, per le aree industriali di Trento e per i metalli pesanti che hanno inquinato falde e terreni dell’area della Caffaro di Torviscosa, in Friuli, dove i milioni finanziati dal Ministero sono stati rispettivamente 19 e 35. In Toscana, a fronte di finanziamenti per oltre 20 milioni, nessuna bonifica è stata completata nei Sin di Orbetello e Livorno. In Piemonte i circa 51 milioni stanziati non hanno ancora rimesso in salute le aree di Balangero, Pieve Vergonte e Serravalle Scrivia: qui, la bonifica delle falde e dei terreni è ferma allo 0%, così come nell’area contaminata di Cengio e Saliceto che il Piemonte condivide con la Liguria. La situazione più critica è però in Lombardia: 5 aree contaminate da metalli pesanti, idrocarburi, PCB, inserite fra le priorità di bonifica. Le attendono da circa 18 anni. Eppure, c’erano e ci sono finanziamenti da parte del Ministero per oltre 200 milioni di euro: non sembra, perciò un problema di liquidità.

Chi inquina non paga. Perché?

La European Environment Agency ha stimato i costi per le analisi e ricerche sui siti, ed è emerso che in Europa sono generalmente ricompresi fra un minimo di 5.000 euro e un massimo di 50.000 euro. Nel nostro Paese, queste stesse indagini costano più di 5 milioni di euro.
Inoltre il principio secondo cui «chi inquina paga» è spesso impraticabile, poiché l’inquinamento, il più delle volte, è così risalente negli anni che rintracciare giudizialmente il responsabile è difficile se non impossibile. C’erano riusciti a Porto Marghera, con il ragionamento: se chi ha inquinato non si trova, paga chi detiene l’area. Lo Stato aveva incassato 700 milioni di euro, con cui ha realizzato le opere di messa in sicurezza per impedire l’espandersi della contaminazione. Dal 2011, con i vari decreti Ilva il principio è stato reso ancora più intricato, e così in quasi tutti gli altri Sin, la messa in sicurezza, che non equivale certo alla bonifica, è stata fatta a carico dello Stato.

Con le bonifiche lo Stato ci guadagna

Bisogna poi fare i conti con la criminalità organizzata: dal 2002 ad oggi sono state 19 le indagini che hanno fatto emergere smaltimenti illegali di enormi quantità di rifiuti derivanti dalla bonifica di siti inquinati. Sono state emesse 150 ordinanze di custodia cautelare, denunciate 550 persone e coinvolte 105 aziende.
Insomma, più si ritarda, e più la criminalità si infiltra, quando invece dalle bonifiche lo Stato avrebbe solo da guadagnare. Già nel 2008 e ancora nel 2016, Confindustria ha stimato il fabbisogno in 10 miliardi. Se le opere partissero subito, in 5 anni, si creerebbero 200.000 posti di lavoro con un aumento della produzione di oltre 20 miliardi di euro, con un ritorno nelle casse dello Stato di circa 5 miliardi fra imposte dirette, indirette e contributi sociali.

Il prezzo che sta pagando la popolazione

L’Istituto Superiore di Sanità da anni monitora i rischi per la salute dei circa 6 milioni di abitanti che vivono nelle aree dei 45 (su 58) siti più contaminati d’Italia. Per chi ha meno di 25 anni, è stato registrato un aumento di tumori maligni del 9% rispetto a chi vive in zone non a rischio.
C’è un eccesso di malattie respiratorie per i bambini e i ragazzi; il rischio mortalità è più alto del 4-5% rispetto alla popolazione generale, con prospettiva di peggioramento. Che prezzo ha tutto questo?

QUI il video

fonte: https://www.corriere.it/dataroom-milena-gabanelli/inquinamento-siti-sin-aree-contaminate-6-milioni-persone-rischio-ecco-mappa/7821fa4a-ef47-11e8-9117-0ca7fde26b42-va.shtml

fonte: https://ilsapereepotere2.blogspot.com/

lunedì 10 dicembre 2018

l'infanticidio nel Medioevo


L'infanzia nel Medioevo fu caratterizzata da tenerezza ed affetto, ma anche da pratiche spesso crudeli. Le condizioni ambientali, le infermità, il tentativo di controllo delle nascite ed i problemi di divisione del patrimonio furono le cause che impedirono quella cura che le famiglie moderne dedicano ai figli. La soluzione a tali problemi esulava dai codici scritti da dotti uomini di città, attingendo nelle antiche radici delle popolazioni europee.
Una delle pratiche più utilizzate fu quella dell'esposizione dei bambini in luoghi di difficile accesso, evento che conduceva alla morte del neonato. Solo nel Trecento furono istituiti gli Ospizi dei Trovatelli, dove fece la sua comparsa la ruota. Le altre soluzioni variavano dalla cessione dei bambini alla Chiesa all'uccisione degli stessi.
La tradizione dell'infanticidio era molto più sviluppata di quello che potremmo pensare: in alcuni paesi scandinavi sopravvisse per diversi secoli anche dopo l'introduzione e la conversione alla religione cristiana. L'infanticidio rappresentava nel Medioevo, forse in tutte le epoche, un modo comodo di eliminare il neonato che avrebbe potuto mettere in pericolo l'equilibrio, in molti casi già precario, economico delle famiglie. Un secondo fattore alla base di questo fenomeno potrebbe risalire al fatto che la nascita di un bambino avrebbe rivelato una condotta poco compatibile con le idee sociali e religiose di un determinato gruppo di persone. 



Quali possono essere i fattori alla base dell'accettazione di tale, cruenta, pratica?
Da una parte l'infanticidio era un reato, sempre che fosse considerato tale in una determinata società, facilmente occultabile, non esclusivamente per la facilità di abbandono nei campi o nei boschi del neonato, ma anche per l'elevato tasso di mortalità infantile del Medioevo. Delort, autore del libro La vita quotidiana nel Medioevo, scrive che il calcolo statistico conduce ad un tasso di mortalità infantile spaventoso.
Un secondo fattore da prendere in considerazione per l'accettazione dell'infanticidio era relativo all'interpretazione secondo cui tale pratica rappresentava l'unico mezzo di controllo delle nascite. Malgrado l'economista Thomas Malthus non fosse ancora nato, la società medievale seguiva la dottrina economica che scaturì dal cervello e dalla penna dell'economista inglese. Il malthusianesimo è una teoria che attribuisce la diffusione della povertà e della fame nel mondo principalmente alla pressione demografica: in sostanza allo stretto rapporto esistente tra popolazione e risorse naturali disponibili. Thomas Malthus si fece assertore di un energico controllo delle nascite e auspicò il ricorso a strumenti tali da disincentivare la natalità, al fine di evitare il deterioramento dell'ecosistema terrestre e l'erosione delle risorse naturali, non rinnovabili.
Un terzo ed ultimo fattore che permette di comprendere la sopravvivenza di tale pratica era da ricercare nell'atteggiamento delle famiglie nei confronti dell'infanzia, più vicino alle società arcaiche precristiane che alla visione moderna. Con il trascorrere dei secoli e l'affermazione del Cristianesimo, l'infanticidio diviene, durante il periodo medievale, oggetto dell'attenzione della legislazione ecclesiastica. Le accuse di bambini annegati, bruciati alla nascita o esposti, erano diffuse in tutte Europa, così come l'abbandono alla nascita nei brefotrofi. 



Una delle accuse che maggiormente fu indirizzata ai genitori dagli ecclesiastici d'allora era quella relativa all'aver causato la morte del neonato per soffocamento nel sonno, accidentalmente o volontariamente. I sermoni ecclesiastici ed i testi normativi, anche laici, dimostrano che l'infanticidio inquietava i responsabili dell'ordine sociale e civile del periodo medievale. Gli scritti medievali si rifacevano a testi più antichi: Rabano Mauro riporta nel suo penitenziale in materia d'infanticidio e di aborto i canoni di Ancira, Lerida ed Elvira dove venivano comminate penitenze di sette anni per le donne abortiste e infanticide.
Anche Reginone di Prum affrontò il tema della morte involontaria del figlio: “se qualcuno avrà ucciso incautamente il proprio figlio, o lo avrà soffocato per il peso degli abiti e se ciò è avvenuto dopo il battesimo, faccia penitenza a pane e acqua per quaranta giorni, e si astenga dal mangiare olio, legumi e dall'avere rapporti con il coniuge”.
Un secolo dopo Ivo di Chartres trattò dell'aborto e dell'infanticidio, riferendosi ai canoni precedenti. Ivo si differenziò dagli scritti antichi poiché previde solo dieci anni di penitenza, al posto della scomunica terminale, per le donne che si macchiavano di tali crimini. Sulla scia dei suoi colleghi si mosse anche Burcardo di Worms, una delle massime autorità in tema di penitenziali. Burcardo attenuò le penitenze proposte dai canoni di Lerida, Ancira ed Elvira adducendo argomentazioni di tipo umanitario. Lo stesso Burcardo paragonò l'infanticidio alla contraccezione ed all'aborto, reato per il quale previde una penitenza di dieci anni non solo per la madre ma anche per la donna che avesse aiutato o insegnato la pratica alla partoriente, soprattutto se il fatto avveniva dopo il quarantesimo giorno dal concepimento, ovvero dopo l'animazione del feto.
Un dato appare incontrovertibile: nei penitenziali medievali emerge con forza il passaggio delle responsabilità dell'infanticidio dal maschio alla femmina. Nel Medioevo avvenne un cambiamento ed un passaggio di responsabilità: nei secoli precedenti era il padre che prendeva la decisione di accettare o meno un figlio, nel periodo medievale divenne la madre, in piena autonomia, a decidere la sorte del neonato. Il passaggio delle responsabilità di fatto coincise con la trasformazione della responsabilità legale, idea che ritroviamo nelle parole di Burcardo di Worms: “Se una donna mette il bambino presso il camino e un'altra persona viene a mettere sul fuoco un calderone d'acqua bollente, e questa si riversa sul bambino e l'uccide, la madre faccia penitenza per la sua negligenza e l'altra persona sia considerata innocente”



Questo passaggio di responsabilità coincise con una diminuzione del ricorso all'infanticidio, facilmente spiegabile dal maggiore attaccamento della madre verso il neonato rispetto al padre. Con il trascorrere dei secoli si crearono dei distinguo all'interno del reato di soppressione della vita di un neonato: se lo stato di povertà della madre era riconosciuto come motivo attenuante per un simile delitto, una donna che si fosse macchiata di tale infamia per interessi personali o per soddisfacimento dei propri desideri era giudicata e punita severamente sia dai giudici ecclesiastici che da quelli laici.
Inevitabilmente era condannata alla pena capitale dal tribunale secolare.
Verso la fine del Medioevo mutò il clima generale a causa della scomparsa dell'iniziale tolleranza verso questo delitto. L'epoca della comprensione lasciò il posto a crudeli punizioni, come la sepoltura da viva della madre infanticida o la messa al rogo con la condanna di portare al collo il corpo del bimbo ucciso nel percorso dal carcere al patibolo.
Nello stesso periodo rinacque ed esplose il ricorso alla pratica del Répit.
Per comprendere l'eventuale collegamento tra il delitto ed il rito dobbiamo cercare nella storia della religione cristiana e nel sacramento del Battesimo.
San Paolo in un sermone disse “sento che la questione è profonda e riconosco che le mie forze non sono idonee a scrutare l'abisso. Il bambino non battezzato va alla condanna. Ma dove non trovo il fondo dell'abisso debbo pensare alla debolezza umana, non debbo condannare l'autorità divina”.
Parole similari furono utilizzate da Sant'Agostino: “È dunque giusto dire che i bambini che muoiono senza il battesimo si troveranno nella condanna, benché mitissima a confronti di tutti gli altri. Molto inganna e s'inganna chi insegna che non saranno nella condanna”.
Il problema della morte alla nascita, accidentale o volontaria, fu un problema a lungo dibattuto. La cultura medievale escogitò la presenza del Limbo, luogo nel quale i bimbi nati-morti avrebbero vagato per l'eternità, lontano da Dio, ma al tempo stesso lontano dalle fiamme dell'inferno. Ancora prima della nascita del Limbo, lo stesso Sant'Agostino analizzò il problema donando speranza ai genitori: parlò della resurrezione temporanea in riferimento al caso di una donna cui vennero esaudite le preghiere sul ritorno alla vita del bimbo nato morto. Le preghiere della donna erano rivolte alla reliquia di Santo Stefano martire. Il figlio della donna resuscitò il tempo necessario per ricevere il battesimo. Il desiderio di dare ai propri figli la salvezza dell'anima superò anche il Limbo, dando vita, o ridando vita, al rito del Répit. Questo rito si svolgeva in pochi luoghi sacri, chiamati Santuari à Répit o del respiro. Il tentativo di riportare alla vita, anche solo per un attimo, il bimbo nato morto è attestato in Europa a partire dalla metà del 1200 e fu tollerato dalla Chiesa sino alla metà del 1700. Il ricorso al Répit si sviluppo nello stesso momento nel quale le autorità civili ed ecclesiastiche mutarono atteggiamento nei confronti dell'infanticidio. 



Le madri, sulle quali ricadeva la responsabilità della morte del neonato, iniziarono a cercare, e trovare, luoghi idonei alla rinascita del bimbo per il tempo necessario alla somministrazione del battesimo. Il sentimento di colpa, morale e legale, che colpì le madri fu alla base del ricorso al rito del Répit? Non penso potremo mai trovare una risposta certa. L'ultimo collegamento storico è relativo alla mitologia stregonica.
Nel Malleus Maleficarum si ritrovano delle levatrici che uccidono i bambini allo scopo di impedirne il battesimo, chiaramente spinte in quello dalla figura demoniaca poiché i bambini rifiutati dal cielo perché macchiati dal peccato originale erano destinati alle fiamme dell'inferno, dimora del diavolo. Il battesimo era necessario per permettere al bimbo di recuperare il suo posto in cielo e non dover vagare per l'eternità nell'inferno. Tra la fine del Medioevo e l'inizio dell'epoca moderna, un misto di paure, religiose e legali, e la nascita di una nuova cultura consentì una rapida diminuzione del ricorso all'infanticidio, sia come strumento di controllo delle nascite che come soluzione ad una gravidanza inaspettata.

Fabio Casalini

fonte: https://viaggiatoricheignorano.blogspot.com/

Bibliografia

Dean Mitchell, The Malthus Effect: population and the liberal government of life, Economy and Society, 2015

Petoia Erberto, Storia segreta del Medioevo, Newton Compton editori, 2018

Prosperi Adriano, Dare l'anima. Storia di un infanticidio, Einaudi, 2005

Robert Delort, La vita quotidiana nel Medioevo, Laterza, 1997

Fabio Casalini e Francesco Teruggi, Mai vivi, mai morti, Giuliano Ladolfi editore, Borgomanero, 2015

Marcel Bernos, Réflexions sur un miracle de l'Annonciade d'Aix. Contribution à l'etude dex sanctuaries à repit, in Annales du Midi, Edition Privat, Tolosa, 1970

Fiorella Mattioli Carcano, Santuari à Répit, Priuli e Verlucca, Ivrea, 2009

Jean-Baptist Thiers, Traité de l'exposition du Sain Sacrament de l'autel, Louis Chambeau, Avignone, 1977

FABIO CASALINI – fondatore del Blog I Viaggiatori Ignoranti
Nato nel 1971 a Verbania, dove l’aria del Lago Maggiore si mescola con l’impetuoso vento che, rapido, scende dalle Alpi Lepontine. Ha trascorso gli ultimi venti anni con una sola domanda nella mente: da dove veniamo? Spenderà i prossimi a cercare una risposta che sa di non trovare, ma che, n’è certo, lo porterà un po’ più vicino alla verità... sempre che n’esista una. Scava, indaga e scrive per avvicinare quante più persone possibili a quel lembo di terra compreso tra il Passo del Sempione e la vetta del Limidario. È il fondatore del seguitissimo blog I Viaggiatori Ignoranti, innovativo progetto di conoscenza di ritorno della cultura locale. A Novembre del 2015 ha pubblicato il suo primo libro, in collaborazione con Francesco Teruggi, dal titolo Mai Vivi, Mai Morti, per la casa editrice Giuliano Ladolfi. Da marzo del 2015 collabora con il settimanale Eco Risveglio, per il quale propone storie, racconti e resoconti della sua terra d’origine. Ha pubblicato, nel febbraio del 2015, un articolo per la rivista Italia Misteriosa che riguardava le pitture rupestri della Balma dei Cervi in Valle Antigorio.

martedì 4 dicembre 2018

esercito europeo, ovvero la longa manus della sovragestione liberista


VECCHI NAZIONALISMI / NUOVI MACRO-NAZIONALISMI:
Gli USA non vedono l'ora che i paesi europei diventino autonomi per svolgere quei compiti militari internazionali di controllo coloniale che, LORO, hanno svolto per più di mezzo secolo.
Il tutto senza dover necessariamente intervenire.
La sovragestione che decide per gli USA sarà in futuro impegnata su più fronti ed in particolar modo su quello orientale e del pacifico, quindi un eventuale esercito europeo, sarà una costola dello stesso potere costituito sovranazionale, svolgerà importanti missioni di pace, di guerra,  le cosiddette missioni umanitarie, per mantenere l'ordine dello status quo.
Quella in atto non è una guerra tra diverse visioni di sistema e di modelli, come ingenuamente potremmo auspicare noi sudditi, ma più realisticamente uno scontro per chi dovrà avere i maggiori poteri decisionali tra tutti i leader in campo.
L'esercito europeo è la creazione di un "Frankestein Kapo' ", sovragestito, transnazionale ed aggiornato in senso totalitario, però a trazione nazionalista, di coloro che ne hanno facoltà.
L'esercito europeo è uno slogan macro-nazionalistico.
Gli USA vogliono renderci "indipendenti" militarmente sempre di più, nonostante ora Trump minacci un 48 contro il progetto (ma fa parte della dialettica tra fratelli e gruppi), in modo da sostituirci a loro in certi presidi, in certe zone calde, così saremo sempre più noi ad intervenire militarmente senza scomodarli.
Putin in questi giorni saluta Macron positivamente e spinge anche lui per la costruzione di un vero NWO, come avevamo previsto in tempi non sospetti.
In questo paradigma si inserisce la "legittima" volontà francese, ma anche tedesca, di rendere il più nazionalista possibile il progetto ed aver maggior benefici rispetto ai costi.
Non solo, anche la Russia è d'accordo che venga a crearsi un bell'esercito europeo, sono tutti d'accordo quando si aumenta massivamente la spesa per le armi, perché questo significa investimenti e PIL. Magicamente non ci saranno più differenze tra vecchi nemici e vecchi amici, saranno tutti uniti in nome della militarizzazione globale.
Uniti perché sono attori degli stessi poteri forti e degli stessi mondi UR massonici, nemici nell'ambito del risiko e "camerati" per quanto riguarda la liturgia del potere.

E' solo un aggiornamento di Sistema più raffinato che il potere mette in campo.
Meno frontale e più efficace di un tempo per militarizzare il territorio e dismettere la democrazia, lentamente, passo dopo passo, fascismo in punta di piedi.
Un progetto neocon, però fatto fare a NOI, e non con il solito ausilio del golpe americano e del terrorismo finanziato dall'occidente. Un po' come i mobili IKEA che te li devi montare da solo, e dopo sei tanto contento di aver costruito il tuo golem che ti hanno prefrabbricato loro.
Vivendo in tempi digitali, il RE è sempre più nudo ed il macrosistema padronale si gioca la carta dell'autogestione.
Ognuno si crea la propria prigione, non è più il Sistema a creartela, così sarà sempre più liquido ed impalpabile, ma al tempo stesso sempre più "pesante" ed invasivo, greve e meno democratico.
Abbiamo basi militari USA sparse ovunque in Italia, strutture che rimarrebbero, come da prassi, ed è ovvio sia una scusa per un aggiornamento 2.0 dello status quo. E' un sistema che necessariamente si autoalimenta.
In politica, la Bonino ed accoliti vari, rappresentano l'ala destra padronale di questo progetto transnazionale, essendo il mondo attraversato da ben altre forze e non certo dai governi a sovranità limitata, progetto che conserva il peggio dei rigurgiti nazionalisti, come oggi accade per quelli francesi, Russi e tedeschi.
Diciamo il peggio del conservatorismo nazionalista con quello globalista.

Contrappongo a questa visione orwelliana e distopica della realtà, una visione più democratica ed orizzontale della vita sociale e politica umana, dove ogni nazione possa autogestirsi, attraverso un rinnovato sovranismo economico e possa cooperare tramite un rinato INTERNAZIONALISMO, che è l'opposto del Globalismo.
Sovranismo socialista democratico SI
Nazionalismo e macro-nazionalismo NO
Internazionalismo economico e dei diritti civili SI
Globalismo macro-economico e distruzione dei diritti sociali NO
L'esercito europeo è concettualmente la longa manus degli USA, e non parlo tanto come nazione. Non possiamo più ragionare in termini di nazioni, se non quando ci si abbuffa sulla spartizione della torta.
Gli USA sono il paese che ha ancora il maggior numero di persone all'interno di certi poteri forti ed UR massonici.
Un eventuale esercito europeo in difesa di chi e, soprattutto, da cosa?
Dalla Cina, dall'Africa o, in un'ottica più totalitaria, a questo punto plausibile e razionale, contro i suoi stessi cittadini, magari in un futuro prossimo?


Tratto da NINCO NANCO BLOG:
A parlare è Jean-Pierre Combe, capo squadriglia onorario dell’artiglieria e ufficiale di riserva dello Stato Maggiore Generale dell’esercito francese, che ha espresso il proprio parere su in mensile francese, riguardo al generale Pierre de Villiers, comandante delle forze armate francesi, che ha rassegnato le proprie dimissioni dopo uno scontro politico con il Presidente Macron.
Così, mentre Macron continua a sostenere la politica di guerra al di fuori delle proprie frontiere in missioni palesemente imperialiste, alcuni vertici dell’esercito iniziano a ribellarsi, stanchi di questa politica guerrafondaia a favore non certo del popolo francese, tanto meno dell’Europa, ma a favore dei soliti maiali capitalisti che continuano, nonostante ormai fin troppo grassi, a mangiare e mangiare ancora, e si spera che prima o poi qualcuno di loro scoppi a furia di mangiare.
Ormai stanco di essere una pedina dell’Europa e non al servizio della Francia, Jean-Pierre Combe, ha rilasciato una riflessione al mensile francese (e se a dirlo è l’esercito dovete iniziare a preoccuparvi seriamente, o forse ritrovare quel coraggio per ribellarvi). 
Ecco le sue parole:
“Le missioni delle nostre armate non sono assegnate dalla nostra Nazione, ma dall’Unione Europea, e non a caso le armi in dotazione ai militari di Parigi non sono più di produzione interna: il fucile francese FAMAS, ad esempio, sarà sostituito da un’arma tedesca. 
Ma non è solo questione di un fucile: il nostro armamento nucleare diventerà quello del futuro esercito europeo al servizio di una dottrina di impiego di aggressione. 
Perché l’UE non è la pace e la NATO è la guerra! 
La missione che Macron ha scelto di assegnare al nostro esercito non è la difesa degli interessi nazionali, ma gli interessi dei più grandi capitalisti del nostro Paese che da mezzo secolo hanno i medesimi interessi dei loro colleghi di tutta Europa. 
Difendere la Patria significa difendere gli interessi di tutti i lavoratori, non gli interessi privati ed egoistici dell’oligarchia capitalista” continua il capo squadriglia Combe, che invita in conclusione anche i soldati semplici a porsi criticamente di fronte a questa tendenza: se non si ferma “prima o poi riceveranno l’ordine di combattere i membri della loro stessa famiglia!”.


Tratto da wikipedia:
"Le forze armate dell'Unione europea non esistono come entità nell'ambito dell'Unione europea, dal momento che l'integrazione tra le nazioni europee non ha compiuto passi significativi nel campo della difesa.
Un primo tentativo di unire le forze armate dell'Europa occidentale è stata la fallimentare Comunità europea di difesa del 1952. Tuttavia da allora molti politici hanno promesso di creare delle forze armate europee. Dato che molti degli Stati membri dell'UE sono anche membri della NATO, alcuni cooperano in materia di difesa mediante la NATO, piuttosto che mediante l'UE o altri gruppi (come l'Unione Europea Occidentale). Comunque l'appartenenza all'UE, all'UEO e alla NATO sono distinte ed alcuni Stati membri dell'Unione europea rimangono per costituzione neutrali in materia di difesa. Diversi Paesi membri dell'UE poi sono stati membri formali del Patto di Varsavia.

Il Trattato di Lisbona del 2001 ha recepito gli elementi del Trattato di Bruxelles con le clausole di difesa dell'Unione Europea Occidentale nell'Unione europea.
I ministri britannici inizialmente hanno obiettato contro questa clausola. Avevano scritto: «Noi crediamo che il Consiglio europeo non prenderà questa decisione presto. È quindi inappropriato per il trattato pregiudicare la decisione del Consiglio europeo». Comunque, più tardi, i ministri britannici cambiarono opinione.
Il 23 marzo 2007 Angela Merkel, mentre era presidente del Consiglio dell'Unione europea, ha concesso un'intervista durante la celebrazione del cinquantesimo compleanno dell'Unione nella quale ha espresso il desiderio di avere delle forze armate europee unite. Il 14 luglio 2007 l'allora presidente francese Nicolas Sarkozy ha chiesto all'UE di creare delle forze armate unificate e lo stesso giorno gruppi di soldati di tutte le ventisette nazioni dell'Unione europea hanno marciato attraverso i Champs-Élysées durante la celebrazione della presa della Bastiglia su invito di Sarkozy.


Il quadro giuridico
La difesa dell'UE è affidata ad ogni singolo Stato membro. L'articolo 42 del Trattato di Maastricht affermava che:
«La politica estera e di sicurezza comune deve includere la progressiva formazione di una politica di sicurezza comune. Questo condurrà a una difesa comune, quando il Consiglio europeo, agendo unanimemente, deciderà così.»
Nel Trattato di Lisbona, l'articolo 42 impone agli stati membri di intervenire con tutti i loro mezzi qualora uno o più stati venissero attaccati da entità extra UE. È questo il vero pilastro della difesa comune UE.
L'Unione europea ha un mandato limitato in ambito di difesa, con il solo ruolo di esplorare la questione della difesa datagli dal Trattato di Amsterdam, cosa che era stata omessa nei processi della lista delle forze dell'Helsinki Headline Goal (la forza europea a reazione rapida). Comunque alcuni Stati dell'UE possono fare e fanno accordi multilaterali di difesa fuori dalle strutture dell'Unione europea.

La cooperazione
Lo stesso argomento in dettaglio: Politica europea di sicurezza e difesa.
L'Eurofighter Typhoon, sviluppato da Regno Unito, Germania, Italia e Spagna.
L'UE agisce per mezzo della politica estera e di sicurezza comune, sebbene la Danimarca abbia scelto di non collaborarvi ed alcuni Stati siano impediti da questioni di neutralità. Le forze sotto il comando dell'UE sono state usate in missioni di pace, nelle quali l'Europa ha molta esperienza.
Sommando le spese annuali di tutti gli Stati membri risulta che l'Unione europea spende più di 311,9 miliardi di USD, seconda solo agli Stati Uniti d'America, con 518 miliardi di USD. Ci sono stati degli sforzi per superare ciò con progetti congiunti come il consorzio Eurofighter.
Nel 2004 gli Stati dell'UE hanno preso in consegna dalla NATO il comando della missione in Bosnia ed Erzegovina attraverso l'EUFOR. Ci sono stati altri spiegamenti di forze, come nella Striscia di Gaza e nella Repubblica Democratica del Congo.


Forze e gruppi militari
Se si tiene conto di un'Unione europea considerata come un unico stato, come una federazione (Stati Uniti d'Europa) si possono considerare 1.597.788 militari tra gli Stati membri.
Stato maggiore dell'Unione europea (supervisiona le operazioni militari condotte al di fuori dell'UE; il suo capo è il generale Henri Bentégeat, capo del French Defence Staff)
EUFOR (forza per missioni di pace utilizzata in Bosnia ed Erzegovina nel 2002 e nella Repubblica Democratica del Congo)
EUFOR Althea (forza di protezione composta da 7.000 militari di stanza in Bosnia ed Erzegovina)
Eurocorps (forza militare indipendente composta da 60.000 militari che può essere utilizzata in varie missioni)
Eurogendfor (forza per interventi in zone di crisi composta da 900 persone stabili ed altre 2.300 persone disponibili come rinforzo)
Helsinki Headline Goal (lista di forze a reazione rapida composta da 60.000 militari gestiti dall'Unione europea, ma sotto il controllo delle nazioni di appartenenza)
European Union Battlegroups (vicino ad un esercito UE, composto da 15 formazioni, ciascuna con 1.500 militari)


Spesa militare degli Stati membri
NazioneSpesa per la difesa
(in USD)
Regno UnitoUnione europeaRegno Unito68.107.000.000
FranciaUnione europeaFrancia63.200.000.000
GermaniaUnione europeaGermania45.100.000.000
ItaliaUnione europeaItalia44.809.000.000
SpagnaUnione europeaSpagna21.000.000.000
PoloniaUnione europeaPolonia9.349.000.000
Paesi BassiUnione europeaPaesi Bassi9.016.000.000
NorvegiaNorvegia5.963.000.000
SveziaUnione europeaSvezia6.309.137.714
GreciaUnione europeaGrecia4.550.000.000
BelgioUnione europeaBelgio4.023.000.000
DanimarcaUnione europeaDanimarca3.474.000.000
FinlandiaUnione europeaFinlandia2.800.000.000
PortogalloUnione europeaPortogallo2.783.000.000
RomaniaUnione europeaRomania2.766.000.000
AustriaUnione europeaAustria2.334.900.000
Rep. CecaUnione europeaRepubblica Ceca1.930.000.000
IrlandaUnione europeaIrlanda1.300.000.000
UngheriaUnione europeaUngheria1.243.000.000
SlovacchiaUnione europeaSlovacchia1.024.000.000
BulgariaUnione europeaBulgaria663.000.000
LituaniaUnione europeaLituania630.000.000
CroaziaUnione europeaCroazia607.000.000
EstoniaUnione europeaEstonia497.000.000
LettoniaUnione europeaLettonia400.000.000
SloveniaUnione europeaSlovenia400.000.000
CiproUnione europeaCipro384.000.000
LussemburgoUnione europeaLussemburgo263.000.000
AlbaniaAlbania144.000.000
MaltaUnione europeaMalta44.640.000
Unione europeaUnione europea311.920.000.000

https://www.corriere.it/esteri/18_novembre_11/vladimir-putin-positiva-idea-macron-un-esercito-europeo-3f12d040-e5c3-11e8-a424-cbaa2fa93806.shtml?refresh_ce-cp
http://www.ninconanco.info/generale-francese-nostro-armamento-nucleare-diventera-quello-del-futuro-esercito-europeo-al-servizio-dei-capitalisti/

fonte: http://maestrodidietrologia.blogspot.com/